7-11 dicembre 2011

Teatro Astra

Via Rosolino Pilo, 6


Velvet Bunny

di Ade Zeno

regia Carlo Nigra

con Christian Castellano, Marco Mazza, Rebecca Rossetti, Federica Tripodi

Compagnia La Quarta Scimmia

(Recensione di Alan Mauro Vai)



Il palco nudo, un tavolino con un'urna funeraria su, quattro sedie vuote... Entriamo così, così accolti, un'immagine che ci dà il senso dello spettacolo prima dello svelamento, un'immagine che ritornerà anche alla fine di tutto... Tutto lo spettacolo è un dedalo di fuochi dentro e fuori la storia, ritagli di luce, luce che fa chiaro profondo e vomita sulle assi del nudo palco le ombre e le verità dei quattro fratelli radunati attorno all'urna di un presunto padre in cenere; in cenere il passato si svuota come erompendo dall'urna in cui era racchiusa, i quattro corpi disegnati dalle vite incenerite tutt'intorno gettati al suolo per rivelarne il contenuto intimo; piccoli segni che si fanno l'infanzia, famiglia in segni, un aeroplanino, una paperella, un barattolino (un coso che ancora nessuno ha capito cos'è, cit.), una barchetta di carta. Ognuno di questi oggetti è racchiuso dentro all'urna fatta rotolare malamente al suolo, come i corpi dei quattro fratelli che si svuotano sotto i colpi della drammaturgia, un ticchettio tra il letterario ed il teatrale, che ingrana nel meccanismo scenico, denso e complesso come un orologio. Il segno dei fratelli è rifinito con arguzia da un testo corale che ci avvince e ci porta con immediatezza fra i loro rapporti contorti, guastati da un passato polverizzato, di collere, di scelte sbagliate, di aderenze mancate per un pugno di centimetri, per indifferenze alle magnificenze di ingranaggi che collegano barche ad orologi: nomenclatura. I nostri personaggi sono densi e forti, volutamente portati in un estremo che ci pompa l'emozione dal sangue al cervello ed arriva calda alla corteccia. Il testo e la messa in scena sono così sottilmente abbracciati che spesso è difficile distinguerli, in una danza complice e sensuale che ci porta in maniera inconsapevole a goderci in stato ipnotico ogni singola parola del testo. Le parole sono molte e le azioni le sorreggono con astuzia, la regia dietro ai gesti è minuta e precisa, aderente, con ombre e luci che incasellano i monologhi; questa soluzione che torna ci aiuta a comprendere meglio ma forse, penso, limita, ma forse, ancora, le trovate a volte ci sottraggono il testo, a volte il testo straborda un poco e la nostra attenzione fatica ad arrivare fino in fondo; non ci aiuta, infine, la scena finale così distante dal proscenio che arrivare fin là non è semplice, colpa anche di un teatro così profondo e largo come l'Astra. Inoltre, i singoli momenti così pieni e densi creano talvolta un'amnesia sul tutto e ci troviamo chiederci a che punto del labirinto drammaturgico eravamo arrivati, come se ci spostassimo per linee narrative orizzontali, parallele e non per evoluzioni drammatiche, per poi scoprire che sono picchi di profondità da cui tornare come da un tuffo in acque buie al sole di una superficie ora più limpida. Gli attori deliziosi e precisi, pieni di verve, di un'intensità da cui è un piacere farci avvincere, a volte però ancora un poco spigolosi per la giovane età, ma così limpidi e genuini da innamorarcene, con una menzione per Federica Tripodi, leggiadra ed invisibile dentro al suo personaggio da cui è del tutto ricoperta, senza neppure un piccolo spiraglio aperto su se stessa. Nel complesso uno spettacolo pieno di energia, raggiante, irriverente e folto di una poesia teatrale che incanta, che riguarda proprio tutti, nessuno escluso: il difficile percorso che ti fa capire perchè sei ciò che sei.