Venerdì 8 aprile

Magazzini di Giancarlo

Murazzi dl Po, lato sinistro


SHAKE(her) SPEAR (e?)


Regia, drammaturgia,scenografia
Amalia De Bernardis
Suggestioni musicali e grafica
Pierpaolo Laustino
Suggestioni e montaggio video
Alessandro Megna
Produzione
Cantiere Altrigo

Performer:
Fabrizia Gariglio
Claudia Giacosa
Sonia Peretti
Francesca Di Loreto
Federica De Cesare
Pierpaolo Laustino
Amalia De Bernardis



(recensione Luca Atzori)


    “Entra Lavinia.
    Violentata.
    Con la lingua e le mani mozzate.
    Tito Andronico. Shakespeare. Didascalia.”



Un locale dei murazzi che si trasforma in un luogo dove prendere testimonianza della presa di vita di un evento contiguo fra l'arte contemporanea e il teatro.

Shake (her) spear (e?) utilizza come centro focale una didascalia tratta dal Tito Andronico:

la scena in cui compare Lavinia, stuprata da Demetrio e Chirone i quali le hanno mozzato le mani e tagliato la lingua per non permetterle di parlare e riferire quanto accaduto.

L'intenzione di Amalia de Bernardis è perciò quella di fare in modo che gli occhi di chi osserva, giungano oltre il testo, oltre la narrazione, facendo vivere le emozioni nella loro più intima e cruda realtà.

I respiri di Lavinia, la voce spezzata, miste ad altre visioni che ripercorrono altri momenti di Shakespeare, tratti dall'Amleto, Romeo e Giulietta, Otello, sono come spiragli che mettono luce su una verità non localizzata, dove viene sussurrato, accennato, tutto ciò che nel testo non possiamo leggere, ciò che le parole non possono dire, dove può essere narrato solo più un silenzioso universo dove non conti più la vista, dove non ci sia più nulla da apprendere.

Afferrare Shakespeare con una mano e volgersi verso tutto ciò che egli stesso ha omesso, i suoi sogni più tremendi, il vero soffocare di Ofelia, il vero terrore di Desdemona, il vero dolore di Lavinia, la vera rabbia di Mercuzio etc.

Le immagini crudeli di cui la performance si compone, sono parte di una scrittura sottile e ineffabile.

Le attrici appaiono come manichini fatti di carne, dai quali non possa uscire nulla che non sia vero. Come una frangia di sogni che vengono schiaffati in faccia, dove ciò che è possibile non è più la comprensione, ma piuttosto ciò che viene richiesto, è semplicemente di posare lo sguardo su tutto quel che non è stato narrato mai.

Amalia ha voluto prendere l'eternità della poesia di Shakespeare, concedendosi l'utilizzo di una sola didascalia e ce l'ha mostrata, l'ha fatta pulsare.

Tutto ciò di cui si narra è l'eternità stessa, conditio prima.

Un' antirappresentazione votata alla viva poeticità, dotata di corpo, respiro e sangue .

Si sentono fortissimi gli influssi della Valdoca, in particolare nella deriva metaestetica , dove non conta più nulla se non il bisogno forte di fare vivere un mondo interiore che altrimenti sarebbe prigioniero.

Il lavoro sulla voce riporta alla mente l'insuperabile Carmelo Bene, e la strada percorsa è quella che si muove da Sade e Artaud.

Una performance eccezionale.