TEATRO IN CANTINA

Caffè del Progresso,

Corso San Maurizio 69



ANCORA SOGNI

Regia di Beppe Bergamasco

Con Ulla Alasjärvi, Eva Moncalvo, Alessandra Nicoloso, Andrea Zirio, Orazio Zacco



(Recensione di Luca Atzori)

Il piano di sopra del caffè del progresso, è certamente una collocazione piuttosto severa per uno spettacolo teatrale. Rumori che provengono dalla strada e dal piano di sotto... odori che si mescolano ad altri odori...

Diventa ancor più severa, quando lo spettacolo non si può avere modo di vederlo.

No, non di certo perché fosse tutto pieno (nonostante così fosse), o perché fosse saltata la data, o motivazioni di questo genere, ma piuttosto perché il primo gesto che Ulla invitava a compiere agli spettatori, era quello di mettersi una benda che coprisse gli occhi.

Uno spettacolo per “non vedenti”, dove i sensi coinvolti sono l'udito (in primis), il tatto, l'olfatto, il gusto (i restanti, cioè).

L'udito per quel che riguarda le voci degli attori, il tatto per il contatto fisico che talvolta questi intrattenevano con gli spettatori, l'olfatto per gli odori che venivano sparsi (misti a quello di fritto provenienti dalla stanza), il gusto per quanto riguarda la mela e la caramella che venivano donate.

Che dire? Si dovrebbe essere sempre precisi quando ci si appresta a nominare le cose. Di certo questo fenomeno non aveva il nome di “spettacolo”, ma piuttosto, più semplicemente, quello di “idea”.

Certamente fra l'andare a vederlo, e il parlarne davanti al tavolo di un pub, non si sarebbe presentata alcuna differenza, anzi forse la seconda chance sarebbe stata più onesta (e forse maggiormente interessante ed edificante), anche perché un'idea che sia solo tale, e che sia messa in pratica senza un'effettiva realizzazione, si chiama “idea sprecata”.

Difatti lo spettacolo pareva non avere né un inizio né una fine.

Testi sovrapposti a caso l'uno di fianco all'altro, dove non vi era nessun filo conduttore, nessun argomento che fosse presentato con l'ombra di una forza.

I sogni? Argomento trattato in uno stile che in quanto a spessore raggiungeva a malapena il peggiore dei rotocalchi. Un collage di parole sconnesse l'una con l'altra, frasi estrapolate da testi più o meno classici, nel bel mezzo qualche poesia di Catullo qua e là, qualche sensazione suggerita alla lontana, il tutto immotivato, atto a presentare l'idea, evidentemente albergante (e ancora serrato a chiave) nella testa di chi ha voluto mettere in scena tutto ciò.

Peccato per gli attori, nei quali si intuiva un grande impegno e professionalità.

Peccato anche che al caffè del progresso non ci siano lampadari, anche se qualora ci fossero stati, si avrebbe avuta la benda, già, accidentacci.