2 - 4 marzo 2011

Teatro Baretti

Via Baretti, 4


Come fu che scoppiò la rivoluzione e nessuno se ne accorse


Di Davide Carnevali
Con Raimondo Brandi, Luca di Prospero, Marco Lorenzi,
Barbara Mazzi, Maddalena Monti

Regia di Eleonora Pippo

Il mulino di Amleto e Calibro2 in collaborazione con Festival Astiteatro 32



(Recensione di Cecilia Allegra)

L'idea di Come fu che in Italia scoppiò la rivoluzione e nessuno se ne accorse nasce dalla sinergia delle compagnie Il mulino di Amleto e Calibro2, connubio che li ha portati a vincere il primo premio al festival Astiteatro nel giugno del 2010 all'interno del progetto Scintille, dedicato agli attori under 30. L’Associazione culturale Il mulino di Amleto, fondata nel 2009 a Torino dal regista Marco Lorenzi e da alcuni attori diplomati presso il Teatro Stabile di Torino, e la compagnia Calibro2, nata nel 2005 a Roma da un'idea di Eleonora Pippo, lavorano entrambe privilegiando la drammaturgia contemporanea e la messa in scena di testi originali. In questo caso lo spettacolo si basa sull'opera di Davide Carnevali, sospesa fra fiaba e realtà e inserita all'interno di quel filone di teoria del complotto che va da Farenheit 451 a 1984, e da Orwell a Pinchon: si svolge infatti in un futuro non dissimile dal nostro immobile presente, in cui la realtà è retta da un’eccessiva finzione, un mondo dove si dice che splende il sole quando palesemente il cielo è nuvolo, e che va tutto bene quando in realtà si sta tentando di soffocare il dissenso. E' un futuro vicino, situato esattamente fra 150 anni, nel 2161, solo che, a differenza di oggi, non si celebra l'anniversario di nessuna rivoluzione; anzi, ci si chiede se abbia mai avuto luogo. Non sembra esserci modo di scoprirlo: i testimoni oculari sono sicuramente morti (forse non tutti per cause naturali), gli archivi sono stati bruciati e la ricerca storica viene bandita: gli unici corsi di laurea in vigore sono “studio della storia presente”, “studio del qui e ora”, “studio di questo medesimo attimo” o “studio dello studio di questo medesimo attimo”. Gli unici documenti reperibili sembrano essere le registrazioni dei notiziari dell'epoca, ma le uniche notizie rinvenute riguardano argomenti poco pertinenti, come il papa, i cani e le belle giornate. E se si ricorresse...al web? I vocaboli “rivoluzione” e affini sono introvabili, se si prova a cercarli si viene automaticamente dirottati su significati quali “risoluzione” , “rivolo” o “rivoltella”: questo sistema informatico, che ricorda alla lontana quello censorio della Cina e accenna alla minaccia che incombe, prima ancora che sui nostri, sui web da cui sono partite le rivolte nordafricane, è gestito da un medico geniale e pazzo, confinato su un'isola deserta.

Questa realtà di facciata basata sulla manipolazione del linguaggio e sull'alterazione della memoria, viene tuttavia scalfita da una tesi di laurea decennale di un'apparentemente innocua studentella appassionata di rivoluzione per tradizione familiare. Risultato: bocciata alla sessione di laurea. La ragazza architetta allora un ricorso bizzarro: una trasmissione con tanto di valletti ed esperti che dimostri l'esistenza di una rivoluzione passata sotto silenzio. Sulla natura di questa rivoluzione ci si interroga: che sia stata di stampo comunista? Che sia stata di stampo liberale e borghese? Per sviscerare questa questione si inscena la favola dei tre porcellini: perché la casa di mattoni in cui si rifugia il trio sopravvive alle minacce del lupo? E' perché il popolo si ritrova unito? O perché il terzo porcellino, che rappresenta lo stato, può prendere in mano le sorti degli altri due, oppure forse perché solo il più ricco può, con la sua benevolenza, salvare i sottoposti? Nonostante tutte queste elucubrazioni, condotte da due attori nudi e dal terzo in tuta da muratore, la ricostruzione si rivela inutile e fallace. Il primo invitato alla trasmissione, un professore che si presenta in scena col volto coperto da un passamontagna, tiene una lezione sulla mancanza di libertà del XX secolo, scappando non appena gli si ricorda che dovrebbe trattare dei secoli XXI e XXII; la seconda, con nome d'arte Laura Pausini, si infervora in un discorso sulla musica pop, apprezzata proprio in quanto fonte di distrazione di massa; i valletti, infine, si esibiscono in canzoni senza senso. Gli altri invitati risultano inutili, corrotti come sono in cambio di un biglietto omaggio, chi per una partita chi per un concerto. La sola a continuare a credere alla grandezza del suo progetto è proprio la studentessa, il cui appassionato monologo finale sugli ideali della patria viene coperto da una musica fortissima...pop, per l'appunto.

Va premiata l'energia dei cinque attori e l'originalità della messa in scena, con alle spalle una scenografia scarna, composta da una lavagna e due tavoli.