8-13 febbraio

Teatro Carignano 6, Torino

Piazza Carignano

18 MILA GIORNI / IL PITONE

dal testo di Andrea Bajani

con Giuseppe Battiston e GianMaria Testa

regia: Alfonso Santagata

luci Andrea Violato

scene Massimo Violato

musiche originali GianMaria Testa

Produzione Fuorivia e Fondazione Teatro Stabile di Torino

Recensione di Cecilia Allegra


Cosa può fare un uomo che, alla soglia dei cinquant’anni, perde tutto, lavoro, moglie, figlio, e…mobili? Non può che vagare per il proprio appartamento vuoto, cercando di ignorare le chiacchiere maligne dei vicini che gli rimbombano nella testa e di rimettere in ordine quel poco che gli è rimasto della vita di prima. Mucchietti, miseri mucchietti di vestiti, troppo legati al passato della famiglia per seguire i loro proprietari in un nuovo percorso di vita. E così è proprio a loro che quest’uomo senza prospettive si rivolge, sperando che da una manica di una camiciola o dal vestito che la moglie indossava solo in occasioni speciali derivi una nuova consolazione. L’unico appiglio viene da una miserabile giacca che giace al suolo, regalo di uno sconosciuto che, in un impeto di solidarietà oggi impensabile, gliela aveva delicatamente posata sulle spalle vedendolo tremare di freddo. Ma gli altri abiti tacciono, e i suoi ex colleghi anche, girando lo sguardo imbarazzati e fingendo di non vederlo.

Com’è stato possibile non accorgersi che tutto stava cambiando, che i nostri vicini si stavano trasformando in spietati concorrenti in un mondo povero di risorse, di posti di lavoro e di affetti? “Un senso di tradimento che brucia, perché quello che ferisce di più oltre al furto,è il non essersi accorti di nulla, l’inganno di una mano che si infila, ti deruba e poi se ne va impunita”. Perché ci vuole scaltrezza per accorgersi che quelli che si fingono amici, che ti siedono e ti si stendono accanto come un pitone, in realtà non lo facciano per amicizia, ma perché vogliono prenderti le misure per poi ingollarti ben bene. E rubarti la moglie, la casa, il posto in azienda. A rimanere è così solo una stanza piena di cappotti lasciati da uomini che, avviliti, la notizia del licenziamento aveva reso anche sbadati. Come segno che questi uomini più di una di quelle giacche non valgono. Anzi, mentre quelle si vedono, rovine di qualcosa che è stato, questi ultimi sono invisibili, o peggio, sono come morti. E nonostante un illusorio atto di ribellione, un barricarsi in casa come gli operai su una gru e gli studenti sui tetti, ci si può solo arrendere, fare finta di esser morti davvero, e coprirsi con un lenzuolo bianco.

Nonostante che il monologo risulti a volte forzato, Battiston riesce a rendere perfettamente la disperazione di un uomo che non si vuole rassegnare ad esser giunto al capolinea della sua vita e i testi malinconici di GianMaria Testa si prestano benissimo ad accentuare la drammaticità del testo.