29 gennaio 2011

Teatro Espace

Via Mantova 38, Torino

IL MITO DI SISIFO



Da Albert Camus

Testo di Mario Pozzi

Regia di Alberto Oliva

Compagnia dei Benandanti: Ivana Cravero, Antonio Immediato, Mauro Parrinello e con Bruno Audisio

Scene: Sara Durando



Recensione di Cecilia Allegra


« Sísifo pure vidi che pene atroci soffriva
una rupe gigante reggendo con entrambe le braccia.
Ma quando già stava
per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta
di nuovo al piano rotolando cadeva la rupe maligna.
»

(Omero, Odissea, libro XI, versi 593-598)


La scena occupa il corridoio centrale della Sala Espace. Due persone, un uomo e una donna, vanno e vengono con ritmo sostenuto e preciso, passando davanti al pubblico seduto ai lati. Potremmo credere che sfilino come su una passerella, ma il loro sguardo è fisso e vacuo, le gambe procedono veloci per inerzia e, come reazione, il pubblico impiega del tempo prima di accorgersi di star assistendo ad uno spettacolo. Resosene conto, si sente più attratto dal loro movimento che dai loro personaggi; non sono infatti le loro espressioni a definirli, ma piuttosto la mancanza di queste, e le loro azioni ripetitive. Lui sale una scala, controlla dei fascicoli su uno scaffale, li timbra, li riordina e scende; lei porta continuamente nuovi fogli da inserire nei plichi nella libreria e sparisce in un’ideale ufficio. 106, 107, 108…110. Qualcosa nel meccanismo perfetto si inceppa: dove diavolo è finito il 109? Com’è possibile che manchi? Il fatto imprevisto semina confusione nell’impiegato diligente: “ lavoro onestamente; sono responsabile, veloce ed efficiente (...) Non mi manca nulla. E’ la perfezione”. Dal momento in cui la ripetizione dei gesti quotidiani si incrina, il nostro Sisifo moderno è incapace di adeguarsi all’idea che fino ad allora aveva agito senza pensare, secondo invisibili direttive, senza prospettarsi alcun cambiamento e, soprattutto, senza chiedersi se quella catena di atti avesse un senso. Vale la pena vivere anche se la vita è assurda, un castigo infernale per cui l’uomo è condannato a un lavoro inutile che eternamente finisce ed eternamente ricomincia? Con un’epifania joyciana Sisifo, la cui etimologia significa proprio “illuminazione”, compie la trasformazione dall’uomo indifferente, come l’Etranger di Camus, all’homme revolté, e rifiuta di continuare a spostare il macigno della sua esistenza secondo un percorso preordinato. Non può sottrarsi all’assurdo, per la sua stessa condizione umana, può però accettarne l’esistenza e scagliarcisi contro, nonostante si tratti di un atto titanico, che prevede un finale tragico. Che importanza ha, poi, se il fascicolo 109 spunta fuori all’improvviso dall’ufficio del direttore per permettere alla farsa di continuare? All’uomo, per essere tale, basta il dubbio. E il dubbio che il non senso domini la propria esistenza non può esser dissipato semplicemente tornando alla condizione di automa.

Con questo spettacolo i Benandanti permettono, con una scenografia semplice a incisiva, lo sposalizio del teatro con la filosofia. E il pubblico non esce a mani vuote, si porta via un foglio di dimissioni in cui dichiara che “oggi è il mio ultimo giorno di lavoro, e rinuncio altresì al preavviso”.