11-23 gennaio 2011
Teatro Carignano
Torino

LA SIGNORINA GIULIA

di August Strindberg. Versione italiana e regia di Valter Malosti. Interpreti: Valeria Solarino, Valter Malosti, Viola Pornaro. Scene di Margherita Palli. Costumi di Federica Genovesi. Luci di Francesco Dell'Elba. Suono G.u.p Alcaro. Coordinatore tecnico e macchinista Matteo Lainati.


Recensione di Luca Atzori (20 gennaio)

Entrare al Carignano è sempre un momento che genera un non so qual senso di elevazione. Un luogo la cui bellezza ed eleganza riporta in mente quella famosa frase di Charles Baudelaire: “Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario”.

E quale citazione più adatta dopo aver assistito allo spettacolo “la signorina Giulia” scritto dalla penna del genio di August Strindberg e messo in scena da Valter Malosti il giorno 21 gennaio.

La signorina Giulia interpretata da Valeria Solarino, e un Jean interpretato da Malosti, sono al centro della scena, dove sin dall'inizio viene proposta una rilettura in chiave per così dire “attuale” del grande classico.

Malosti interpreta un rozzo servo vestito con un abito di pelle e porta capelli lunghi che continuamente mette a posto con puntuale rigore guittesco. Una voce forte, ma poco espressiva. Un personaggio ai limiti dello stereotipo, una presenza a metà fra il palco e la propria personalità di regista-attore, dove evidentemente il lavoro non ha potuto essere svolto fino in profondità.

La Solarino a teatro acquista senso e dignità solo per la sua bellezza. Una recitazione inesistente, puro riferimento di un copione dietro cui c'è evidentemente una totale mancanza di consapevolezza. Una voce sforzata e slegata dall'azione.

Il conflitto emotivo che viene rappresentato può suscitare a tratti interesse per l'intensità con cui i due attori si confrontano, ma è una parte di lavoro, una fetta che sfugge all'occhio e all'ascolto.

Registicamente approssimativo, addobbato di musiche estrapolate da qualche rave, che con il tema trattato e lo spirito che si celava dietro le parole, c'entrava pressapoco niente.

Il grande Strindberg avrebbe forse voluto che gli spettatori volgessero sguardo a realtà tragiche dello spirito di quell' (e non solo) epoca, e la messa in scena riesce ad essere solo un pretesto scenico molto superficiale e volgarizzante.

Uno splendido lampadario, quello del Carignano, non c'è che dire.